La nuova classe media globale

Sono qui a Rio De Janeiro da ormai più di due settimane, per lanciare il mio portale di appartamenti turistici www.MyRioApartments.com, parte del network Adormo.com.

Amo moltissimo il Brasile, un paese che ho conosciuto grazie al mio amico Gianluca.

Perché ho deciso di lavorare in paesi come il Brasile (dove sono ora) e la Cina (dove andrò a breve)?

Lula, Obama e Dilma Rousseff. Foto Ricardo Stuckert/PR

Il fatto è che sono convinto che i paesi BRIC e i Next-Eleven (N-11) possano diventare il vero motore dell’economia mondiale nei prossimi anni. La globalizzazione, internet e lo sviluppo delle comunicazioni hanno fatto sì che molti paesi, pur essendo più poveri rispetto ai “developed markets”, possano affacciarsi sulla scena economica globale, forti di costi minori, anche per quanto riguarda le risorse umane più qualificate.

Il mondo di una volta, in cui i sudamericani coltivavano canna da zucchero con i piedi nel fango e i bambini cinesi cucivano palloni per noi ricchi del mondo, scomparirà poco alla volta per lasciare posto ad una economia basata sui consumi globali. Gli operatori sanno che per aumentare i consumi globali è necessario far sì che un brasiliano o un cinese possano permettersi di spendere denaro.

Non è un caso che le recenti crisi finanziarie internazionali (che, oltretutto, hanno colpito i paesi BRIC e N-11 soltanto in modo molto marginale) siano state caratterizzate da una forte contrazione nei consumi. L’economia internazionale ha bisogno che anche gli altri quattro quinti del pianeta possano permettersi un’auto, un televisore LCD o un cellulare.

L’idea che sta dietro a questo processo è quella della nascita di una nuova classe media globale, con redditi nell’ordine dei 10.000 $ annui. Non sono un economista, ma quando ho letto i report di Goldman Sachs, in cui si parlava di “BRICS as drivers of global consumption” e di un mondo più equo, ho capito che questo cambiamento stava già avvenendo, e che non poteva più essere fermato. E soprattutto che l’idea di un mondo più equo non era più solo nelle parole di qualche rivoluzionario, ma negli auspici di una delle più grandi banche d’affari internazionali.

Purtroppo questo processo potrebbe creare problemi nelle economie più sviluppate, compresa l’Italia, a causa della concorrenza dei paesi in via di sviluppo, capaci di competere sempre più ad armi pari e col vantaggio di costi inferiori. Si potrebbe obiettare che ciò potrebbe essere moralmente non così sbagliato: per centinaia di anni noi “occidentali” abbiamo rubato risorse al resto del mondo, concedendo in cambio solo briciole. Ma non è questo il punto.

Le attuali difficoltà economiche vanno considerate, secondo me, come una fase in divenire: con la crescita dei redditi nelle economie in via di sviluppo, la competizione sui costi si allenterà, dando maggiore respiro alle economie del vecchio continente e del Nord America. Inoltre, e questo è il dato più importante sottolineato da Goldman Sachs, il maggior potere di spesa della nuova classe media globale (solo India e Cina hanno una popolazione di più di due miliardi di persone) darà modo ai paesi con produzioni d’eccellenza (l’Italia tra questi) di vendere prodotti e servizi in questi nuovi, sterminati mercati. Quindi, la crescita delle economie in via di sviluppo darà modo alle economie sviluppate di uscire dalla attuale crisi da scarsità di domanda: il processo in atto conviene a tutti.

Per cogliere le opportunità nascenti da questa “seconda globalizzazione”, però, dovremo investire in innovazione e sui giovani, ovvero due cose che l’Italia non sta facendo.

Ecco quindi qual è il futuro dei flussi commerciali mondiali: non più soltanto vendere agli europei prodotti cinesi o brasiliani, ma vendere ai cinesi o ai brasiliani i prodotti d’eccellenza europei. In un mondo più equo. Ecco perché sono partito, per partecipare a questa silenziosa rivoluzione senza armi, a questa ondata di ottimismo e fiducia che qui, dall’altra parte della barricata, è palpabile, nonostante i problemi tipici di ogni paese in via di sviluppo. E per sfuggire alle lagne di un paese in cui “c’è la crisi” è diventato, purtroppo, un luogo comune al pari di “non ci sono più le mezze stagioni”.